L’ortofrutta fresca è, dopo il vino, il prodotto agroalimentare italiano più esportato, ma fa molta fatica ad essere inquadrato come “Made in Italy”, un peccato visto che si tratta – secondo una ricerca internazionale – come il terzo brand più noto al mondo dopo Coca Cola e Visa.
Un problema che ha diverse cause, una potrebbe anche essere le difficoltà dei nostri produttori a fare rete e a imporsi su mercati comunque difficili.
L’altra, probabilmente, è la mancanza di una programmazione istituzionale in tal senso, che miri magari a mettere in evidenza anche in questo settore la grande biodiversità che ha l’Italia, svincolando così i nostri prodotti dal segmento “commodity”.
Un esempio lampante è il fatto che nessuno dei progetti legati all’ortofrutta presentati all’UE, specificamente alla Chafea (Consumers, health, agriculture and food executive agency), ha ottenuto fondi.
Il programma è dedicato proprio alla promozione interna ed estera dei prodotti agroalimentari, su 56 progetti approvati solo 3 sono quelli italiani (Mortadella Bologna, formaggio Piave DOP, Distretto Agroalimentare della Valtellina) con risorse minime rispetto a quelle dei nostri concorrenti.
Errori di procedura probabilmente, di mentalità sicuramente, che continuano a vederci arrancare in Europa quando invece, anche nell’ortofrutta, potremmo e dovremmo essere trainanti e riconosciuti come tali.