Il tema è dibattuto da tempo, la soluzione non è ancora stata trovata ma di certo non sembra quella di non coltivare kiwi.
L’ortofrutta pontina sta affrontando seriamente il problema dell’abbassamento della falda acquifera che sarebbe dovuto, in buona parte, alla coltivazione intensiva di actinidia, frutto che ha trovato in questa area la sua patria d’elezione a livello produttivo.
Tra l’altro il kiwi, arrivato dalla Nuova Zelanda anche se di origine cinese, si è insediato in Italia proprio in questa area a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, fino a far diventare il nostro Paese il primo produttore al mondo dopo la Cina con 25.000 ettari coltivati e 450mila tonnellate di frutto annue.
L’agro pontino conta circa 8.000 ettari e 140mila tonnellate di kiwi prodotti ogni anno, ha ottenuto dall’Unione Europea il marchio IGP Kiwi Latina, e ha ovviamente visto soppiantare le vecchie coltivazioni di uva (soprattutto) vista l’iniziale grande redditività dell’actinidia.
Ad oggi sarebbero diverse le testimonianze di una difficoltà, da parte del territorio, di sopportare il carico dovuto alla produzione intensiva di kiwi.
Abbassamento della falda acquifera innanzitutto, inaridimento del suolo in seconda battuta, sarebbero gli effetti più evidenti della situazione.
Per questo si stanno studiando da una parte i reali e certificati effetti dell’uso dell’irrigazione delle piantagioni di actinidia, dall’altra le possibilità che hanno i produttori per migliorare la resa irrigua dei propri sforzi.
Di certo il settore, che rappresenta appunto un terzo della produzione nazionale di kiwi, non sta affrontando un momento eccellente per la redditività delle produzioni.
I prezzi dei kiwi sono calati e la coltivazione rende meno che in passato, ma è pur sempre un ambito più sicuro di altri, a cominciare da quello del vino che nel Lazio – e in questa zona in particolare – continua a non essere un investimento sicuro.