Il ragionamento da fare è semplice, se in base a tutte le stime un olio extravergine di oliva prodotto da olive italiane ha costi di produzione non inferiori a 3,5 euro come si può trovarlo sugli scaffali a prezzi simili se non inferiori?
Semplice, non è possibile!
Ecco uno dei motivi che spiegano le multe comminate nelle ultime settimana ad alcuni grandi gruppi della distribuzione organizzata che avevano messo in commercio olii etichettati come Extravergine che però non avevano le caratteristiche minime per rientrare nella categoria.
Un modo per proteggersi ci sarebbe, affidarsi cioè alle 27 DOP dell’Olio certificate a livello europeo, peccato che queste rappresentino però solo il 2% dell’intera produzione tricolore e, tornando al discorso principale, scordatevi di trovare questi EVO a prezzi da discount (giustamente).
Partire da queste considerazioni serve a riflettere anche sul movimento oleario in generale, come ha fatto Slow Food con un articolo (https://www.slowfood.it/slowine/vuoi-spendere-3-euro-al-litro-allora-beccati-lextravergine-contraffatto/) in cui vengono messi in chiaro alcuni dati che, in particolare sull’importazione di olio, dovrebbero zittire la maggior parte delle lamentele politiche degli ultimi mesi.
L’Italia, secondo i dati Ismea elaborati da Slow Food, ha prodotto lo scorso anno 461.000 tonnellate di olio, consumandone tuttavia nello stesso periodo circa 662.000 tonnellate.
Risulta del tutto evidente che non riusciamo a produrre neanche l’olio che consumiamo ogni anno, ma la situazione è ovviamente anche più complessa se aggiungiamo le esportazioni, che sono 376.000 tonnellate (sempre lo scorso anno) mentre le importazioni hanno sfiorato le 630.000 tonnellate.
Facendo una semplice somma abbiamo prodotto e importato olio per 1 milione e 90.000 tonnellate mentre ne abbiamo consumato ed esportato quasi 1 milione e 40.000 tonnellate.
Il che significa che siamo un Paese produttore ma anche un grande mercato di confezionamento e, con ogni probabilità, di miscelazione.
Per farsi un’idea più precisa, seguendo sempre i preziosi dati Ismea elaborati da Slow Food, i nostri mercati di riferimento per l’export, sempre dalla stessa fonte, sono gli Stati Uniti (118.000 tonnellate), la Germania (43.900 tonnellate), la Francia (33.000 tonnellate), il Canada (26.000 tonnellate) e il Giappone (25.500 tonnellate). Per l’import la Spagna è la nazione da cui abbiamo comprato più olio (558.000 tonnellate) seguita a grande distanza da Grecia (55.000 tonnellate) e Tunisia (25.000 tonnellate).
Insomma le crociate contro l’importazione di oli stranieri, in quanto tali, sono del tutto fuori luogo.
Altro discorso invece dovrebbe essere fatto sulla qualità e sulla tracciabilità degli olii che importiamo, così come per quelli che lavoriamo e vendiamo in Italia.
Solo con una rete di controlli più capillare, sostenuta però da un consumo critico e consapevole, riusciremo a sconfiggere la piaga delle contraffazioni dando il giusto riconoscimento ad un settore fondamentale per la nostra agricoltura.
di Fabio Ciarla